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Adriana De Tommaso, Giudice del Tribunale di Trento




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l’estrazione a sorte del mio nome tra i magistrati che possono partecipare alle primarie telematiche per l’indicazione dei candidati delle prossime elezioni del CSM mi ha colto di sorpresa, e anche se non ho mai aspirato a far parte del CSM (non ho mai neanche fatto parte di un Consiglio giudiziario) ho deciso di non tirarmi indietro di fronte a quella che ho considerato come una chiamata di responsabilità.

Rivestire il ruolo di consigliere è sicuramente difficile e delicato, ma difficile e delicato è anche il lavoro che facciamo tutti i giorni, e che riguarda la vita di tante persone; la riflessione, lo studio, l’impegno  che ci metterei sarebbero quindi gli stessi con cui affronto il lavoro quotidiano di giudice.

Senza condizionamenti e vincoli.

La logica delle correnti deve essere abbandonata e spero che in un futuro non lontano possa veramente esserlo, perché anche se si leggono tante idee buone e condivisibili poi nei fatti si vedono prevalere decisioni rispondenti ai criteri dell’appartenenza all’una o all’altra corrente, dalla designazione dei capi degli uffici agli interventi a tutela di uno o di un altro magistrato, all’organizzazione stessa degli uffici.

Proprio perché chiamata in gioco inaspettatamente, e soprattutto perché non partecipo ad alcuna corrente, e non mi avvalgo quindi dell’organizzazione anche intellettuale propria delle correnti, non dispongo di un “programma”, articolato e diffuso come quelli che i candidati di tutte le correnti hanno da tempo messo a punto e divulgato; ciò che sarebbe da parte mia inappropriato e velleitario.

Posso esporvi brevemente come la penso su alcuni aspetti che maggiormente formano oggetto di discussione alla vigilia delle elezioni.

Nei criteri per la selezione dei direttivi e semidirettivi, va senz’altro preservata la regola che  esclude, quale criterio preferenziale, l’anzianità di servizio; se questa normalmente si traduce in una maggiore esperienza del magistrato, deve essere valorizzata anche l’esperienza che il singolo magistrato aspirante può aver maturato, rispetto ad un altro di maggiore anzianità, svolgendo la sua attività in più uffici e in realtà diverse, perché la conoscenza di situazioni differenti apre la mente a diversi punti di vista e può stimolare alla ricerca di diverse soluzioni delle problematiche dei singoli uffici.

Vanno valorizzate, a seconda anche del tipo di incarico cui si aspira, tanto la versatilità quanto la specifica professionalità.

Per ogni magistrato deve “parlare” il lavoro che ha svolto e come lo ha svolto (e dunque i provvedimenti redatti, le udienze tenute) per cui l’impegno, la dedizione e le capacità organizzative, che vanno verificate, in prospettiva di organizzare un intero ufficio, con riferimento a quelle riguardanti il proprio personale lavoro, debbono costituire il punto di riferimento per dare una chance di rivestire un incarico direttivo o semidirettivo al magistrato che vi aspiri, pur se privo di titoli specifici, come la pregressa assunzione di cariche analoghe.

Questo anche per evitare che l’aver rivestito una posizione apicale ne comporti l’acquisizione di fatto una volta e per tutte  anche se all’interno di uffici diversi, tradendosi lo spirito sotteso alla disposizione della temporaneità degli incarichi direttivi.

Essere a capo dell’ufficio deve essere considerato più che mai un compito ed un servizio, e un privilegio solo per essere tale, e nella valutazione dell’attività svolta nell’ambito del giudizio di conferma dovranno essere presi in considerazione i risultati della conduzione dell’ufficio, con riferimento ai moduli organizzativi assunti per calibrare ed equilibrare i carichi di lavoro e per motivare i magistrati dell’ufficio in modo da consentire la migliore risposta alle domande di giustizia; anche tenendo conto delle diverse incombenze amministrative del capo di un ufficio dovrà essere valorizzata anche la sua personale riuscita nello svolgimento del lavoro propriamente giudiziario accanto, e non al di sopra, degli altri magistrati del suo ufficio.

Sono peraltro contraria a che, sia ai fini del conferimento per la prima volta di un incarico direttivo/semidirettivo, sia ai fini della conferma, siano raccolti pareri o valutazioni da parte degli stessi magistrati dell’ufficio di appartenenza del candidato o capo da confermare, perché le valutazioni debbono essere fatte su dati oggettivi, mentre le valutazioni personali possono risentire di motivi soggettivi e mutevoli, completamente disancorati dall’aspetto professionale, con il rischio di manifestazioni favorevoli magari ispirate solo dalla captatio benevolentiae, o sfavorevoli, ispirate da  sentimenti di umana antipatia.

Per questa stessa ragione non condividevo assolutamente l’idea (recentemente assurta a proposta in sede consiliare) di considerare, nelle valutazioni della professionalità, i pareri dei pubblici ministeri per i giudici e viceversa, così come i pareri degli avvocati.

Per quanto riguarda le valutazioni di professionalità di ogni magistrato, premesso che ho maturato prevalentemente la mia esperienza professionale nel settore civile, e che di questo posso parlare con cognizione di causa, ritengo che debba essere adeguatamente valorizzato il lavoro svolto dal giudice non solo con riferimento alle sentenze, ma anche agli altri provvedimenti, come i provvedimenti cautelari, collegiali, ordinanze riservate e non, che tante volte  conseguono il risultato di far definire bonariamente o abbandonare il giudizio (si pensi alle ordinanze ai sensi degli artt. 648 e 649 c.p.c., alle ordinanze istruttorie che decidono sulla inammissibilità di prove), posto che anche dietro questi provvedimenti c’è studio e lavoro.

Avere riguardo sostanzialmente solo al numero delle sentenze scritte introduce l’ossessione dei numeri e distoglie il singolo giudice dal coltivare tentativi di conciliazione che possono comunque favorire lo snellimento del ruolo.

Va anche considerato che a seguito dell’introduzione di recenti istituti, come il rito sommario ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., molte cause vengono definite con ordinanza e non con sentenza con un dispendio di energia in molti casi non inferiore a quello necessario per la decisione di una causa con sentenza. 

Si deve inoltre porre attenzione adeguatamente al fatto che sovente il singolo magistrato si trova a dover far fronte ad imprevisti carichi aggiuntivi imposti per sopraggiunti trasferimenti, congedi per maternità o altro di magistrati dello stesso ufficio, e va giustamente valorizzata la sua capacità di organizzarsi il lavoro, oltre che, ovviamente, la disponibilità concretamente offerta a sovvenire in situazioni difficili perché l’Ufficio nel suo complesso dia l’immagine dell’amministrazione che funziona. 

D’altra parte, il che rileva per l’aspetto disciplinare, è assolutamente necessario evitare che delle situazioni acute, ma tanto spesso croniche, di difficoltà di funzionamento degli uffici, dovute ai noti problemi di carenza di organico, eccesso di arretrato derivato da anni di scopertura degli uffici ma anche di cattiva gestione da parte di capi disinteressati, si ripercuotano negativamente nella valutazione della professionalità del magistrato in ritardo perché oberato e lasciato solo a farsi carico delle carenze strutturali e organizzative dell’ufficio e dell’amministrazione in generale.

La funzione disciplinare deve essere massimamente ispirata dalla tutela dell’indipendenza della funzione giurisdizionale, nella scrupolosa verifica delle contestazioni, con specifico riferimento alle condotte connesse con lo svolgimento delle funzioni, necessariamente tenendo conto, quindi,  della concreta situazione lavorativa del magistrato raggiunto dall’accusa.

Ciò deve valere anche nei confronti di magistrati che si sono trovati da soli ad affrontare stressanti situazioni di pressione dei media e dell’opinione pubblica, non potendo essere mai persa l’occasione, per il Consiglio, di reagire con fermezza e prontamente rispetto ad offese ed attacchi personali ad singolo magistrato, reo spesso solo di aver svolto il proprio dovere .

Nessuna timidezza può essere di contro consentita rispetto a condotte estranee allo svolgimento delle funzioni, atte a minare, nella generalità sia dei cittadini che degli operatori della giustizia, la considerazione del prestigio della magistratura, dove l’onestà non solo effettiva ma anche apparente del magistrato costituisce il pre-requisito per vestire degnamente la toga.

E sono i capi degli uffici a dover essere specificamente responsabilizzati, vigilando a che singole condotte censurabili vengano subito denunciate e non diano  pretesto per l’indiscriminato dileggio della categoria.

La necessità di vagliare con scrupolo e nella sua concretezza ed attitudine offensiva il singolo caso disciplinare deve condurre d’altra parte ad escludere automatismi tra pendenza di un procedimento disciplinare e il superamento positivo delle periodiche valutazioni di professionalità, evitando l’effetto di ritardare la progressione in carriera in concomitanza di addebiti di diversa natura e gravità oltre che ancora non verificati.

L’assegnazione di alcuni magistrati a compiti diversi dallo svolgimento dell’attività giurisdizionale, con il conseguente loro collocamento fuori ruolo, è utile e, per alcuni aspetti, irrinunciabile, laddove solo il magistrato, per l’esperienza naturalmente e direttamente maturata nel lavoro giudiziario, può apportare contributi decisivi nell’organizzazione amministrativa o nell’ideazione e messa a punto di norme riguardanti specificamente sia l’attività giudiziaria, anche per gli aspetti processuali, sia specifiche materie involgenti diritti da tutelare, sia nel settore civile, ivi compreso quello del lavoro, pubblico e privato, che nel settore penale.

Ma il collocamento fuori ruolo deve essere a tempo ed è opportuno che non sia prorogato o seguito da un altro periodo di collocamento fuori ruolo per l’adibizione ad un settore diverso, perché il lavoro giudiziario deve restare centrale e fondamentale nell’esperienza lavorativa del magistrato.

Troppo volte si sono visti nominare dirigenti di uffici magistrati provenienti da incarichi fuori ruolo, a discapito di altri aspiranti che avevano maturato un’esperienza professionale nell’attività giudiziaria, specificamente connotata, come se la collocazione fuori ruolo costituisse un asso nella manica per conseguire cariche direttive, il che va sicuramente evitato.

Da ultimo vorrei esprimere la mia contrarietà per le ipotesi di ampliamento delle funzioni dei Consigli giudiziari rispetto a funzioni allo stato devolute all’attività del Consiglio Superiore.

Solo la centralità è in grado di garantire (o comunque questo deve essere l’obiettivo) l’uniformità e la visibilità delle decisioni, che resterebbero altrimenti confinate negli ambiti spesso asfittici dei consigli giudiziari, dove l’elemento di conoscenza personale è forte e più facile il condizionamento a discapito della legalità e della trasparenza.

Legalità e trasparenza su cui ciascuno di noi magistrati deve sempre poter fare affidamento, in ogni momento della sua vita professionale in cui vengono assunte decisioni che lo riguardano, anche nel momento dei trasferimenti, fugando dubbi e sospetti di favoritismo.

Auspico anche che in sede di Consiglio Superiore, raccordando esperienze nell’ambito dei consigli giudiziari, si possano ideare e introdurre moduli operativi, già diffusi nella forma delle buone prassi, volti all’ottimizzazione del lavoro, anche con la collaborazione dell’avvocatura, ad esempio sul tema della redazione degli atti del processo civile.

Queste solo alcune delle mie idee, ovviamente senza alcuna pretesa di completezza.

Se le condividete e riterrete di preferirmi alle prossime primarie vi ringrazio sin d’ora e vi auguro buon lavoro, perché ne abbiamo tutti bisogno.

Adriana De Tommaso



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