Sono
Salvatore Di Maio. Sono entrato in magistratura il 19 ottobre 2004 ed ho sempre
svolto le funzioni di Pubblico Ministero. Attualmente presto servizio presso la
Procura della Repubblica di Cosenza .
Essendo
stato sorteggiato, ho dato la mia disponibilità alla candidatura alle primarie,
in quanto ritengo che l’iniziativa di “Altra Proposta” costituisca un
apprezzabile tentativo di rottura rispetto a logiche consolidatesi nel tempo
all’interno della magistratura, che, in qualche modo, bisogna cercare di
modificare
Oggi
l’elezione dei componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura
(che è organo di rilievo costituzionale e non può essere trasformato in
espressione dei “rapporti di forza” all’interno dell’A.N.M.) passa attraverso
il necessario “filtro” delle varie correnti organizzate al nostro interno, che
monopolizzano (non si capisce sulla base di quale fonte di legittimazione) l’indicazione
dei nominativi dei candidati .
Tale
vizio “genetico” comporta delle ricadute sul concreto svolgimento delle
funzioni del C.S.M., preposto, sulla base del dettato costituzionale (art. 105
Costit.) e delle norme di ordinamento giudiziario, al nostro “autogoverno” .
Varie
decisioni assunte dal C.S.M. sono indubbiamente discutibili, in quanto
“contaminate” da sottili equilibri e compromessi che necessariamente si vengono
a creare tra le correnti; ne è riprova il fatto che, con una frequenza per
certi versi “allarmante”, i provvedimenti adottati vengono impugnati dinanzi
agli organi di giurisdizione amministrativa che talvolta li hanno annullati.
Da
ciò una considerazione che, a mio parere, deve costituire spunto di riflessione
sul funzionamento del C.S.M. stesso; in alcuni casi (non numerosi, per fortuna)
gli atti emessi non sono semplicemente censurabili sotto il profilo
“dell’opportunità” (del c.d. “merito amministrativo”), ma addirittura
illegittimi, in quanto affetti da violazione di legge, o quantomeno da eccesso
di potere .
In
tale contesto non può non evidenziarsi il modo in cui vengono assegnati gli
incarichi direttivi e semi – direttivi; è palese come essi vengano
“distribuiti” sulla base di criteri non trasparenti, non oggettivi, spesso
incomprensibili. Si assiste talvolta alle varie nomine secondo logiche
spartitorie, da “manuale Cencelli”, in virtù dell’appartenenza o vicinanza a
questa o a quella corrente. Perché non prevedere, ad esempio, in sede di
nomina, l’audizione obbligatoria degli aspiranti?
Altro
profilo di forte criticità è rappresentato dal modo in cui opera l’A.N.M. (cui
sono iscritto dal mio ingresso in magistratura, in quanto - in astratto - ne
riconosco l’essenziale funzione di tutela e garanzia), interamente governata ed
etero – diretta dalle correnti; le sue scelte e prese di posizioni spesso mi
sembrano calate dall’alto ed autoreferenziali, la sua strutturazione è fortemente
dirigistica .
In
alcuni interventi degli organi rappresentativi talvolta avverto una profonda
lontananza dai concreti problemi reali, esistenti nei vari uffici giudiziari
(soprattutto quelli più periferici e di modeste dimensioni).
Manca,
in sostanza, un effettivo contatto con la realtà che quotidianamente vive ogni
singolo magistrato (quello che ogni giorno va in ufficio, evade istanze, fa
udienze, celebra processi, pronuncia sentenze, emette provvedimenti, definisce
procedimenti, svolge indagini, si confronta con ruoli quantitativamente non
gestibili); sotto altro aspetto credo che l’A.N.M. – conformemente alla sua
funzione – dovrebbe occuparsi con maggiore incisività dei concreti interessi di
categoria (ad esempio quelli economici, recentemente pregiudicati da incomprensibili,
illegittime e discriminatorie scelte politiche, chiaramente ispirate ad una
logica “punitiva”, se non addirittura “ritorsiva”) .
Sono
queste, in sintesi, le ragioni che mi hanno indotto a dichiarare la mia disponibilità
alla candidatura alle primarie indette da “Altra Proposta”; tentare di rendere
effettivo quel concetto di “indipendenza” ed “autonomia” della Magistratura non
solo all’esterno, rispetto ad ogni altro potere (per come previsto dall’art.
104 della Costituzione), ma anche all’interno dell’ordine giudiziario; indipendenza
come rifiuto di omologazione, come possibilità di rivendicare l’estraneità alle
correnti, come opportunità di cambiare un “modus operandi” sempre più simile a
quello che quotidianamente si riscontra nel “potere politico”, dal quale - a
parole - orgogliosamente rivendichiamo la diversità .
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