Ho iniziato la mia attività da Sostituto Procuratore
circa quattordici anni fa, presso la Procura della Repubblica di Rossano
Calabro (CS).
Dopo quattro anni, per avvicinarmi alla mia famiglia accettai il
posto di magistrato distrettuale requirente presso la Procura Generale di Bari.
Quindi mi sono trovato ad operare per tre anni presso la Procura di Foggia, per
uno presso la Procura di Lucera e per uno presso la Procura per i Minorenni di
Bari. Nel 2009 sono stato assegnato alla Procura di Trani e dall’aprile 2014 presto
servizio presso la Procura di Bari.
Questo percorso mi ha consentito di vivere la
variegata realtà di sei uffici di Procura, ma soprattutto di conoscere diversi
modi di lavorare, oltre che di ricoprire tutte le specializzazioni.
Mi sembra, per ora, fuori luogo parlare di capacità,
laboriosità, pubblicazioni o relazioni, penso sia più utile esprimere alcuni
pensieri sugli argomenti che porto maggiormente a cuore.
·
Perché ho accettato
Non ho mai fatto vita di corrente, né mi sono mai
trovato in situazioni analoghe. Sono stato sorteggiato e ho accettato di contribuire
ad una causa che ritengo giusta.
Rimango dell’idea che possedendo gli strumenti adeguati
quando c’è un problema lo si affronta, lo si approfondisce e si trova la giusta
soluzione.
In tal senso mi piace ricordare Falcone quando diceva “appartengo a quella categoria di persone che
ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto
se dovevo affrontare o no un qualche problema, ma solo come affrontarlo”.
Penso che dobbiamo ricordarci sempre, con umiltà, del servizio
che la nostra categoria è tenuta a fornire allo Stato ed alla collettività, e
delle aspettative della gente, che da noi attende efficienza e qualità: è per
questo che veniamo pagati.
·
Correnti, proposte, metodi
Porto rispetto per le correnti che sicuramente hanno
svolto e svolgono un ruolo importante, senza di loro, probabilmente, non
saremmo una magistratura autonoma ed indipendente.
Ma come non rimanere
interdetti quando, nei resoconti del Consiglio, su qualunque argomento, si legge
sempre il voto compatto degli aderenti ad una corrente contrapposto a quello
della compagine avversa? Sono davvero tutti animati da tale affinità ideologica
ed unità di pensiero da pensarla alla stessa maniera su tutto, nomine comprese?
Io mi aspetto che un magistrato compia ogni volta la
scelta giusta, interpretando ed applicando una legge, in autonomia. Altre
regole non ne conosco.
Con i colleghi che stimo, di qualunque orientamento
questi siano, ci confrontiamo spesso sulla competenza tecnica di un magistrato,
sulla sua onestà, sul suo equilibrio.
Solo per colorare la conversazione
possono seguire altre considerazioni, ma l’eccessiva ideologicizzazione non viene
mai considerata un elemento positivo.
·
Meritocrazia (direttivi e
valutazione di professionalità)
Ritengo che il primo problema della magistratura (come
purtroppo di tutta la pubblica amministrazione) sia la mancanza di
meritocrazia.
Quanti di noi hanno vissuto esperienze di capi uffici che si sono
rivelati inadeguati, spesso senza sorprenderci?
Quanto migliorerebbe la magistratura se solo i direttivi
e semidirettivi fossero i migliori o quanto meno i più bravi ad organizzare il
lavoro ed i più equi nel distribuirlo.
Con la temporaneità degli incarichi direttivi il dramma di scelte
infelici è molto meno grave rispetto al passato.
Non è facile scegliere i migliori, ma si vuol prendere
atto che il sistema creato non funziona!
Lasciamo le lottizzazioni dei posti ad altre
categorie, almeno sbaglieremo in buona fede.
Inoltre, un magistrato capace, accetta l’idea di non arrivare
mai a dirigere un ufficio, se non altro perché statisticamente i direttivi sono
pochi, ma non accetta di essere equiparato al collega fannullone o peggio.
Non è
ammissibile l’idea che chi emetta un parere di professionalità equipari,
bonariamente, situazioni molto diverse.
Ad esempio, parlando di esperienze di Procura, purtroppo,
a volte capita di assistere impotenti a situazioni in cui i colleghi che hanno
assunto posti di rilievo li abbiano ottenuti per aver pensato a svolgere poche indagini
importanti, utili solo a riempire un curriculum mirato a far carriera.
Poco importano gli esiti finali o poco interessa se
nel loro l’ufficio impera il caos o se mille istanze o querele siano state accantonate
nell’armadio.
Nelle valutazioni dei direttivi o semi direttivi si dà
primaria importanza all’indagine “ipergalattica” con centinaia di arrestati o indagati.
L’esito finale non ha rilevanza.
E d’altra parte, pensando ai magistrati della
giudicante, davvero mi chiedo: in un momento di difficoltà in camera di
consiglio, vi rivolgereste al collega con più pubblicazioni, a quello con più
incarichi extragiudiziari, a quello che ha frequentato più corsi presso la
Scuola o, più semplicemente, a quello tecnicamente più preparato?
Perché non
valorizzare adeguatamente questo profilo come vera nota di merito del
magistrato, impedendo che le uniche “frecce di sorpasso” risiedano altrove e,
soprattutto, nella “tessera” di corrente giusta?
Mi rendo conto che non è facile individuare un sistema
meritocratico perfetto (e che questo può diventare pericoloso), ma cominciamo
dai correttivi.
Io spero sempre di leggere nelle votazioni che tizio
di quella corrente ha votato A e caio della stessa corrente ha votato B. Ciò
non accadrà mai. Allora proviamo a cambiare.
Si studieranno altri sistemi possibili, ad esempio quelli
che in altri Paesi funzionano, e magari li si sottoporrà al vaglio dei colleghi.
In fondo siamo “solo” diecimila.
Per
esempio perché non chiedere, in maniera anonima, ai
sostituti procuratori chi preferirebbero come capo dell’ufficio? Sarà un parere
non vincolante ma conterà pure qualcosa. Sono certo che se la scelta
avvenisse, anche solo tra cinque candidati sarebbe più felice.
Alla
fine ogni popolo ha il re che si merita, e noi italiani ne sappiamo qualcosa.
Siamo
abituati all’idea che per sapere se un magistrato sia bravo, onesto o
equilibrato, l’unica possibilità concreta e rapida sia quella di chiedere ad un
collega di cui ti fidi, o ad un avvocato o al personale amministrativo, o (per
i P.M.) ad un esponente delle forze dell’ordine.
Con
il paradosso che, in alcuni casi, tutti sanno del valore o dell’adeguatezza o
meno di quel magistrato tranne il CSM che, in buona fede, lo ha nominato.
Allora
parliamo serenamente di come fare in modo che ciò non accada.
· Procedimento
disciplinare
Il
procedimento disciplinare viene anch’esso percepito come strumento per
controllare alcuni colleghi se non per dimostrare, politicamente, con un numero
elevato di sanzioni, uno iato rispetto al lassismo precedente, ma di fatto continua
ad imperare quella incertezza che si percepiva prima della riforma, che pian
piano degenera nel terrore per chi ha il solo “torto” di svolgere il proprio
lavoro in condizioni e con carichi di lavoro ormai inaccettabili.
Il tutto senza
reale conoscenza delle effettive condizioni in cui versano i colleghi.
I
colleghi giudicanti sono, invece, costretti a pensare al mero rispetto dei
termini piuttosto che alla qualità od alla difficoltà tecnica delle sentenze,
sempre più spinti dal sistema verso una interpretazione burocratica e timorosa
della loro funzione.
Per non parlare della percezione del procedimento
disciplinare come strumento di intimidazione sulle coscienze individuali.
Perfino le pratiche a tutela si trasformano in strumenti di controllo ed
ispezione.
Spero sia chiaro che non mi viene chiesto e non mi
sarà chiesto dall’alto di votare per uno o per l’altro candidato, né accetterei
mai una disposizione del genere.
Non garantisco neanche di votare per eventuali
candidati di Altra Proposta perché io antepongo la persona e le qualità del
collega ad ogni altro elemento.
Solo chi è libero da condizionamenti ed
etichette è realmente indipendente.
Ho avuto il privilegio di conoscere Fabio all'università, condividendo un percorso di studi appassionante ed i cui ideali, sottesi alle ore di lezione e di studio, ritrovo tutti interi in quello che Fabio ha scritto e condivido in pieno. Sono convinta anch'io che si possa e si debba fare la differenza rimanendo proprio lì dove ci si trova e facendo la propria parte fino in fondo, senza schermi o alibi, ma esponendosi e andando fimo in fondo nelle cose, rimanendo con la schiena dritta e lo sguardo alto. Grazie Fabio per la tua testimonianza, io cerco di fare la mia parte come avvocato a Bergamo, cercando di affermare la legalità e tutelando le persone che si fidano di me e si affidano a me. Costanza
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